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VISITARE NAZARET

Nel quotidiano

fedeli alla consacrazione

Orientamenti attuativi del XVIII Capitolo generale

per l’anno 2008

SALUTO

Cari confratelli voglio farmi vicino a voi in questi giorni mentre ci apprestiamo a celebrare la festa liturgica della santa Fondatrice, a farne conoscere e amare la figura e la sua bella testimonianza ecclesiale. È per tutti noi una festa densa di ricordo e di significato se pensiamo al gesto ecclesiale che ha riconosciuto come modello di santità la figura della nostra fondatrice e che continua ad interpellare le nostre coscienze a riqualificare la nostra relazione con Gesù, nostro amato.

Davanti ai miei occhi - mentre sto scrivendo questa lettera - ho presente ciascuno di voi, cari confratelli che ho incontrato personalmente e comunitariamente nella mia visita alle vostre comunità dell'Italia/Svizzera, del Brasile e del Mozambico dopo la mia elezione a Superiore generale. Rivedo i vostri volti: molti gioiosi e sereni della propria vita; altri chiusi e preoccupati per il futuro; altri disillusi! Penso al vostro sincero desiderio di crescere alla sequela del Signore ma anche alla fatica a imparare la “grammatica di Dio”, cioè disporre il cuore alla fedeltà della consacrazione, alle cose semplici e quotidiane e viverle con l'intensità. Mi sento interpellato dalle vostre comunità religiose: in tutte ho respirato frammenti del vangelo della Cerioli, insieme a fatiche nella collaborazione e nella comunione; porto nel cuore la vostra gente, alla quale date la vostra vita e il vostro tempo!

PERCHÉ VI SCRIVO

La scelta che presiede questo scritto è motivata dal fatto che il Superiore generale con il suo Consiglio hanno come prima missione quella di attuare il programma capitolare e su questo saranno verificati alla fine del loro mandato.

Il Capitolo, con la collaborazione di tutte le comunità e i religiosi, ha fatto una lettura profonda del nostro cammino di Congregazione e della situazione attuale. Si è rispecchiato nelle fonti vive della nostra Vita Religiosa Sacra Famiglia e ha offerto alla Congregazione delle indicazioni concrete per il cammino personale e comunitario del sessennio, organizzate in tre grandi capitoli: la vita religiosa, la missionarietà, il governo. Il tutto è compendiato nel Documento Finale: “Li inviò a due a due”; bussola delle nostre scelte, strumento di condivisione dei nostri progetti, aiuto per la nostra conversione.

ATTUARE IL PROGRAMMA DEL CAPITOLO.

Con questa lettera il Superiore generale vuole offrire a tutti i religiosi e comunità un mezzo semplice e pratico per attuare il programma capitolare, proponendo alla Congregazione tutta, per ogni anno, alcune priorità su cui riflettere e comunicare, per sostenere la formazione di base e permanente, e per attualizzare sempre meglio il Progetto apostolico locale in riferimento alla nuova coscienza missionaria di Congregazione, con una verifica concreta dei passi, delle difficoltà e delle prospettive.

Questa lettera è rivolta a ciascuno di voi personalmente e comunitariamente, come si conviene ad amici. Infatti amici vi considero, e come fratelli consegnati dal Signore, perché ascoltandolo insieme, rinnoviamo la nostra consacrazione, facciamo crescere l'amore per i fratelli, serviamo generosamente le persone affidate.

PRIORITÀ PER IL 2008

Il Capitolo ha osservato che a fronte di significativi passi circa la nostra identità carismatica e la nostra missione specifica nella Chiesa missionaria, è carente in noi l'entusiasmo per il carisma Sacra Famiglia, per la missione specifica (evangelizzare educando nella Chiesa missionaria) e il senso di appartenenza (è bello essere religioso della Sacra Famiglia). Come arginare l’arte – oggi diffusa – di una mediocrità incapace di azzardi, di trasporti ed affetti, di tenuta nella prova e far vedere che la fiducia nella amorevole paternità di Dio sta all’inizio, al centro e alla fine dell’avventura carismatica della nostra vita? Come maturare una fede cristallina in cui c’è tutta la lucidità di una libertà che azzarda pregiudicata se stessa per la benedizione di molti, una passione e il desiderio della missione che è capace di novità, freschezza e fedeltà, una mente che non si lascia sfiorare né intimidire dalla prova alla quale siamo inevitabilmente sottoposti?

Lo stesso Capitolo, riprendendo le consegne lasciate dall’ex Superiore generale, propone come cammino per rinnovare questi valori in primo luogo il recupero gioioso della pratica della consacrazione, dei voti, della vita comunitaria (Rota Edoardo, Relazione sullo stato della Congregazione. Un cammino da continuare, pag. 60. Luglio 2007).

Mi sembra opportuno indicare per l'anno 2008 come prioritario nel primo passo dell'attuazione del Capitolo i numeri 6.10.11 del capitolo I del Documento finale: “Ritorno al vangelo e alla pratica della vita religiosa”.

Il numero 6 ci riporta alla fonte della nostra consacrazione, quando chiede di ritornare all’esperienza di fede e alla nostra spiritualità, quando ci invita a recuperare il senso della consacrazione come dono di noi stessi per realizzare la nostra prima missione: essere testimoni di Dio che è dono di amore; quando ci richiama alla centralità pratica della Parola di Dio nella nostra vita quotidiana; quando infine ci raccomanda di recuperare non solo il senso teorico di tutto ciò (sul quale è anche facile concordare) ma soprattutto la pratica (che si verifica non sulle parole ma sull’agire).

Il numero 10 ci ricorda come la nostra consacrazione non è fine a se stessa ma si esprime nell'apostolato. Così l'apostolato è autentico quando nasce dalla gratitudine verso Dio, quando visibilizza il dono generoso, senza risparmio alcuno di noi stessi a Dio, quando è un dolce richiamo al primato di Dio nella vita di tutti; in una parola, quando è frutto di un cuore contemplativo.

Il numero 11 ricorda a tutti come le belle intenzioni nel cammino della crescita umana e religiosa non bastano: abbiamo bisogno di mezzi. La tradizione della Chiesa e della Congregazione crede che la principale mediazione per il cammino di fede viene dalla fede di persone concrete, che aiutano i fratelli più con l'esempio che con le parole, più con il sostegno che con la critica, più indicando gli ideali veri che giudicando gli sbagli. Nella comunità religiosa chi ha anche il dovere di questa responsabilità verso i fratelli è il Superiore locale, il quale in questo modo è anche un servitore qualificato dall'applicazione del Capitolo. Nel senso che se il Superiore non crede e non vive nel cuore ciò che la Congregazione propone, gli altri strumenti molto difficilmente potranno realizzare il loro obiettivo.

Si tratta di partire per questo cammino.

E come Gesù da Nazaret, “dove era stato allevato” (Lc 4,16), incominciò a percorrere le strade della Palestina per poi incamminarsi risolutamente verso Gerusalemme e portare a termine la sua missione salvifica, così noi, dall'incontro con il Cristo Risorto impariamo ad accogliere la grande rinuncia al cuore narcisistico e autoreferenziale, per assumere il  profilo pasquale della nostra consacrazione tale assunzione comanda di ritornare nei luoghi della nostra missione, la nostra Nazaret: le parrocchie, i centri giovanili, ricreativi sportivi, i centri educativi scolastici, la scuola universitaria e professionale, i seminari; visibilizzando con la nostra crescita nel nascondimento, la rinuncia al mondo e l’assunzione gioiosa del carisma Sacra Famiglia.

Durante questo cammino porto con me anche le domande che sono state nel mio cuore in questi tempi. Le raccolgo così: Signore dove vuoi condurre questa Congregazione che "tu hai creata” (S. P. E. Cerioli) e che mi hai affidato?

Signore che cosa vuoi che io faccia per questi confratelli, perché tutti possano essere felici, contenti di essere tuoi amici e servitori, senza dover andare a cercare “al di fuori della nostra famiglia” luoghi per sentirsi appagati?

Come posso vivere la mia fragilità insieme a quella dei miei confratelli in modo che non sia ostacolo all'avvenire del tuo regno, ma manifestazione della tua grazia che si prende cura e si realizza nella debolezza?

Come devo “leggere” il fatto che qualcuno ti abbandona, che qualcun altro lascia la propria vocazione, oppure non sia sincero davanti a te e finga davanti agli altri?

Con voi davanti agli occhi non mi sento abbattere, ma allargare il cuore perché mi sento vicino la Fondatrice, Gesù, voi confratelli, la gente.

Queste domande sono una tappa necessaria per incontrare davvero Dio, per incontrare in verità se stessi, per apprezzare la vicinanza dell'altro.

Nella festa della Fondatrice sento di affidarle questi interrogativi e di invocare la sua materna intercessione perché ci ottenga lo spirito del discernimento e il coraggio di convertire il cuore.

VISITIAMO NAZARET

Nazaret è una cifra teologica importante per la storia di Gesù e per la lettura carismatica che ne fa la Fondatrice. Gli accadimenti e le storie che si intrecciano a Nazaret – l’annunciazione, l’arrivo dall’Egitto, la crescita di Gesù, l’episodio di Gesù dodicenne, la partenza per il ministero, l’inaugurazione del ministero, il ritorno da maestro, la nuova famiglia – diventano il luogo della relatività che Dio accetta per assumere, nell’amore, la nostra condizione umana e salvarla. Segnalo il testo “Il Vangelo della santa Famiglia”, Queriniana 2006 come prezioso strumento per accostarsi individualmente e comunitariamente alla meditazione e alla comprensione sempre più viva dei misteri di Nazaret.

Icona biblica. Mt 2,19-23

Morti i persecutori, con Dio che ha continuamente vegliato sulla Santa Famiglia, Giuseppe con il bambino e sua madre venne ad abitare a Nazaret. A Nazaret non accade nulla di straordinario, tutto scorre secondo il ritmo della vita e della tradizione. In questo contesto di semplicità e umiltà, di obbedienza alle leggi della creazione e della rivelazione mosaica, Gesù cresce attraversando le prime tappe della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù. Matteo non ci dice nulla della vita di Nazaret, ma questo silenzio è essenziale: Gesù apprende ad essere uomo, apprende a riconoscere la volontà di Dio, impara ad ascoltare una chiamata speciale. La legge dell’apprendimento, del tempo, dell’esperienza è la grande lezione di Nazaret, dell’incarnazione. Nella sua missione, Gesù non propone una maniera stravagante di essere e di esistere, ma un cammino profondamente umano, che Egli cominciò a percorrere nel clima famigliare e spirituale della casa di Nazaret. Sappiamo come noi tutti siamo influenzati per la vita intera dalla educazione che abbiamo ricevuto nei primi anni di vita. Credere nell’incarnazione significa credere che Gesù imparò ad essere mite e umile di cuore, imparò ad ascoltare la volontà di Dio e ad obbedirvi, imparò a rinunciare alla sua volontà egoistica per disporsi a compiere la volontà del Padre. Imparò e non ricevette questo insegnamento dall’alto, come per miracolo. Se è così per Gesù, lo può essere anche per noi.

La Fondatrice e il carisma

Vorrei però con voi lasciarmi provocare da ciò che ci rammenta la Fondatrice a riguardo della vocazione alla vita Sacra Famiglia e alla necessità di visitare frequentemente la casa di Nazaret, per apprendere alla scuola della Santa Famiglia lo stile della nostra testimonianza/missionarietà.


Come mai proprio Nazaret?

- Perché Nazaret, ci ricorda la Fondatrice, è l’habitat appassionato e lunghissimo di Gesù (30 anni) in cui impara la verità dell’umano, impara a vivere nell’ordinarietà e nella particolarità delle situazioni, ad assumere il gioco normale degli sviluppi e delle relazioni, il dovere di lavorare, di sapere, di apprendere, di obbedire; e impara a fidarsi di Dio.

- Perché dopo aver scoperto con Maria Addolorata di quale incandescenza è l’amore di Dio (l’esperienza della sua maternità rigenerata dallo Spirito e abilitata a diventare madre di “molti figli”), santa Paola Elisabetta risale a Nazaret dove scopre la paternità nella figura di San Giuseppe e la maternità di Dio nella persona di Maria. «Quale sarà il fondamento e la base di questo nuovo ‘edificio’ perché possa crescere e fiorire alla maggior gloria di Dio, per la salute delle nostre anime ed a vantaggio del prossimo? È la Santa Famiglia. In tutti gli incontri, in tutti gli avvenimenti -sia prosperi che avversi- la vita di Gesù, Giuseppe e Maria, la loro condizione comune e povera, le loro occupazioni, le loro fatiche, ci forniranno abbondante materia d’esempi e d’istruzione. Seguiamoli e dimoriamo spesso ora alla grotta di Betlemme, ora per le montagne della Giudea, per le strade d’Egitto e per quelle di Gerusalemme, ora con Gesù nell’orto degli olivi, e ovunque per incoraggiarci alle prove e ai sacrifici […]

Seguiamoli e dimoriamo spesso sul Calvario in compagnia di Maria Vergine Addolorata per imparare come si deve soffrire quando veramente si ama Dio.

Viviamo infine della vita di questi tre Personaggi; ricopiamo in noi stessi i loro sentimenti, entriamo nelle loro disposizioni, seguiamo le loro inclinazioni, amiamo ciò che essi amarono, odiamo ciò che essi odiarono, non rallegriamoci che di ciò per cui essi si rallegrarono».

- Nazaret diventa il luogo del progetto amorevole di Dio che qui inizia e prende consistenza nel “sì” di Maria e in quello fedelissimo, silenzioso e continuo di Giuseppe, come quando “destatosi dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24). Soavemente le Costituzioni al n. 92 ci rammentano: “Il silenzio che Gesù si impose, l’esempio di Maria che meditava in cuor suo i misteri divini, la silenziosa accettazione della volontà di Dio da parte di Giuseppe, sono per i religiosi della Sacra Famiglia un invito continuo per un arricchimento interiore”.

- Perché la nostra Fondatrice ci racconta che la vocazione alla vita religiosa Sacra Famiglia è una ‘gran grazia’, cioè un grande regalo del Signore, prima ancora che lo potessimo meritare. La ‘grazia della vocazione’ non cancella la nostra debolezza, la nostra fragilità, finanche il nostro timore nel seguire Gesù, ma ci sollecita a ‘diventare semplici’ per riconoscere sempre chi è l’autore e il Signore della nostra vocazione. Esemplare è l’invito a visitare frequentemente la casa di Nazaret: “questo, vedete bene, è il luogo nel quale le nostre novizie dovranno dimorare, per apprendere il prezzo del sacrificio, lo spirito dell’obbedienza, la bellezza della virtù, la felicità e la semplicità della vita nascosta, e infine il luogo dove sarà possibile creare veri modelli di grandi originali (P. E. Cerioli, Del noviziato).

La glossa più autorevole a questo invito della Fondatrice è data dalle Costituzioni al capitolo X: Con la Fondatrice alla scuola di Nazaret. Umiltà/semplicità/nascondimento/laboriosità/abnegazione, articoli 86-99. Una pacata e attenta meditazione di questi testi, forse un po’ colpevolmente dimenticati, ci aiuterebbe a colorare la nostra vita, a volte stinta e un poco accidiosa, e a ricordarci che la contemplazione del mistero della crescita di Gesù ci invita ad accogliere con gratitudine il mistero della nostra stessa crescita che talora sperimentiamo come il dramma del crescere che, inevitabilmente, comporta un impercettibile ma reale morte di qualcosa a qualcosa. E’ quanto recita l’articolo 99 delle Costituzioni a riguardo della costante e necessaria mortificazione del religioso della Sacra Famiglia che attraverso l’abnegazione della volontà e il lavoro continuo impara a morire all’uomo vecchio per vivere secondo lo Spirito della libertà dei figli di Dio.

La nostra Nazaret

Quello che la pagina di Nazaret ci trasmette, proprio in un tempo che è disattento alle piccole cose, che irride alle piccole abitudini per l’euforia delle “grandi cause”, che passa volentieri oltre gli adempimenti ordinari della vita civile e religiosa, è questa fedeltà nel minimo, è questa lealtà verso noi stessi nella ferialità dei compiti, è questo fervore nel lavoro quotidiano, è questa fedeltà alle consegne della nostra consacrazione senza evaderle, è questo sentire che Dio veglia instancabilmente sulla nostra storia prendendosi anticipatamente cura di noi. Sappiamo come oggi però sia difficile vivere consegnati a Dio nel servizio ai fratelli secondo questa misura. Le scelte radicali della nostra vita non risuonano come rilevanti. Forte è la minaccia di una cultura che non riconosce più alla vita il suo valore e il suo significato vocazionale, che promuove un carattere sperimentale della vita con conseguente privatizzazione e frammentazione del racconto personale e l’assunzione di strategie minimali che stemperano in piccoli e fugaci momenti di eccitazione le grandi passioni per la vita. Assistiamo ad un individualismo crescente con una connotazione narcisistica e virtuale che non concede il giusto valore al sacrificio sensato, alla disciplina dei comportamenti personali, alla fiducia nell’altro, alla obbedienza, alla castità e alla povertà; all’invasione dell’esteriorità chiassosa del mondo mediatico, all’imborghesimento invasivo della vita comunitaria con una distanza crescente tra il tenore di vita delle nostre comunità religiose e il vivere comune delle persone semplici.

Le nostre abitudini, le sconfitte della nostra vita, lo scoraggiamento, la sfiducia, la fatica di cambiare, la paura della difformità, il peso del passato, ci possono condurre indubbiamente a concludere che una esistenza nuova è impossibile, che ogni impegno in tal senso è fatica sprecata.

La lezione di Nazaret invece ci porta al luogo del silenzio, condizione delle grandi crescite, dove impariamo a riconoscere che nel cuore del nostro cuore opera l’energia depositata in noi dallo Spirito del Padre. Così il cuore può diventare la sede grande delle nostre accoglienze semplici, la sede forte, integra e delicata in cui diciamo a Dio: scelgo Te, cammino con Te.

La parola autorevole del Capitolo, sulla scia della lezione di Nazaret, ci riporta alla necessità di ritornare al centro della nostra consacrazione per ricercare e riscoprire la fragranza di quel limpido legame, dentro il quale ci sentiamo accolti, perdonati, riconosciuti nella trasparenza del nostro desiderio, mediante il quale ci vediamo strappati agli affanni della nostra realizzazione assoluta. Allora “ogni nostro servizio di apostolato, carità, accettato in obbedienza allo Spirito, riceverà vigore ed efficacia proprio dalla fedeltà alla nostra consacrazione religiosa” (Cost. 15). Per questo è necessario custodire e far crescere quotidianamente la relazione con il Signore (la lectio della Parola), curare l’amicizia e la simpatia con i fratelli, ben sapendo che l’esempio della mia fedeltà favorisce quella dei fratelli (Cost. 50), che la mia prima missione è la comunità (Cost. 84); mantenere uno sguardo contemplativo sul mistero della vita, sulla vocazione, sul mondo.

Aver cura della relazione, per renderla sempre più vera, profonda e autentica, libera, è l’impegno necessario per qualificare la nostra missionarietà e l’efficacia educativa della nostra paternità spirituale. Me lo conferma la gioia che ho provato e che provo, vivendo con i miei confratelli soprattutto quando ho il coraggio di andare a fondo nella relazione, nell’approfondire la mia amicizia. Quando ho il coraggio di far sì che il nostro vivere insieme non sia cameratismo, ma veramente fondato sull’amicizia.

Me lo conferma il bene che ho ricevuto attraverso profonde amicizie sia con uomini che con donne, che ultimamente mi hanno disposto ad un amore più personalizzato e autentico verso tutti.

Me lo conferma anche lo scoprire l’importanza di diventare in primo luogo amico di me stesso, per sapermi rispettare e ascoltare, in verità e misericordia.

Me lo conferma anche il desiderio che mi anima di intrattenere un’amicizia intima e personale con Cristo Gesù. E’ bello scoprire nel vangelo che anche Gesù, dalla nascita alla morte, è stato un uomo di relazione, unito costantemente al Padre, come ci racconta soprattutto il vangelo di Giovanni. Però, nello stesso tempo, donava molta importanza alle persone. Amava tessere amicizie fedeli e profonde. Il vangelo di Marco ci fa vedere come Gesù, in ogni suo passo e azione, discorso o miracolo, libera la relazione delle persone che ha davanti. E lui stesso si libera nella relazione, perché c’è tutto un evolversi e un aprirsi di Gesù verso gli altri.

E’ gioia, ancora, scoprire come santa Paola Elisabetta Cerioli ha vissuto in maniera fedele e appassionata, tutte le sue relazioni: con Dio, con il marito e il figlio, con le guide spirituali e le sue consorelle, con le orfane che ha accolto nel suo palazzo.

La cura della relazione sostiene e incoraggia una maniera di essere e di vivere più contemplativa, fa sì che gli altri e le cose siano ricevuti con disponibilità, attenzione e delicatezza, con compassione e gratitudine. Ci vuole per questo tempo e disponibilità; ci vogliono ritmi diversi di vita. Tutto il contrario della indifferenza e della superficialità verso le quali ci spinge la società del profitto e del consumo.

Da questa visione esce una prospettiva di fede che ci aiuta  a dare il giusto peso alle crisi senza ritenerle irrimediabili, a crescere nella umanizzazione dei consigli evangelici e a far fiorire la vita in fraternità.


CHE COSA POSSIAMO CAMBIARE

Lo scopo di questa lettera non è di ribadire ideali con i quali tutti concordiamo teoricamente, ma di indicare un passo da compiere effettivamente, nella pratica, tutti insieme, nelle tre aree geografiche della Congregazione e rendere possibile così uno scambio aperto e costruttivo sugli stessi contenuti. Per questo propongo di seguito delle domande/verifiche che desidero che tutte le comunità affrontino, poco per volta, a livello spirituale nei tempi della preghiera/meditazione, e a livello esistenziale nei momenti di riunione/scambio. Chiedo che entro l’appuntamento annuale degli esercizi spirituali nelle rispettive aree si possa consegnare da parte di ogni comunità il frutto della riflessione e la condivisione dei passi concreti fatti. Per questo il tema degli esercizi spirituali per l’anno 2008 è auspicabile che converga sul tema consacrazione e missione.


dal documento finale capitolo I

RITORNO AL VANGELO E ALLA PRATICA DELLA VITA RELIGIOSA

La gioia e la responsabilità della Consacrazione

[n. 6] La Congregazione cresce sempre più nella consapevolezza del prezioso dono ricevuto con il carisma, riconosciuto una volta di più dalla Chiesa attraverso la canonizzazione della Fondatrice (16 maggio 2004) e, inoltre, perché la sua presenza nella storia degli uomini sta diventando sempre più missionaria, internazionale, inculturata. Tuttavia la cultura mondana e borghese che ci circonda e la ‘divisione’ del cuore fanno spesso dimenticare e ‘sbiadire’ la consacrazione a Dio del religioso Sacra Famiglia.

ð Il Capitolo richiama l’esercizio dell’incontro quotidiano con la Parola di Dio, meditata personalmente e comunitariamente nella Lectio divina  come fonte di rinnovamento della risposta filiale a Dio e dell’offerta di sé nell’apostolato.

ð Per questo motivo il Capitolo riconosce come necessario recuperare e irrobustire il senso e la ‘pratica’ della vita religiosa Sacra Famiglia, che è la condizione per far crescere la missionarietà internazionale e inculturata al servizio della quale si pone la reinterpretazione del governo.

ð Riteniamo necessario recuperare il senso della Consacrazione come donazione di noi stessi a Dio, con una ‘nuova’ assunzione dei voti e della vita fraterna. Ciò ci permette di attuare il nostro primo compito di religiosi: far vedere il primato di Dio con l’ascolto della Parola, con la celebrazione dell’Eucaristia e la vita fraterna.

ð Vediamo la necessità di non addomesticare le parole profetiche del vangelo per adattarle ad un comodo stile di vita. Riconosciamo l’urgenza di tornare all’essenziale della nostra esperienza di fede e della nostra spiritualità.


La Consacrazione: quali segni concreti dicono che la cultura borghese/mondana (cioè gli aspetti non evangelici del nostro mondo) sta deturpando la nostra consacrazione? Cosa è necessario fare per recuperare la pratica della VR? Ci stiamo adattando ad uno stile di vita comodo? Cosa ci fa dire di sì o di no? Cosa è l’essenziale della nostra scelta di vita? Come si esprime nel nostro stile di vita? Come la Parola di Dio diventa concretamente fonte di rinnovamento della nostra Consacrazione e apostolato?


[n. 10] I buoni piani pastorali parrocchiali e i seri impegni di soccorso e cooperazione internazionale (adozioni a distanza, volontariato, ecc…), con i lungimiranti ed impegnativi progetti educativo-istruttivi (scuola da 0 a 25 anni; scuola per la famiglia; case famiglia; scuola come cooperazione internazionale progressiva ed efficace; centri di formazione professionale; centri di aggregazione giovanile e di ascolto, convitti, case per ferie, parrocchie e oratori, centri di accoglienza e spiritualità; centri di recupero e spiritualità mariana) sono espressioni apostoliche che richiamano la dimensione contemplativa della nostra vita; la sola condizione che ci permette di esprimere la priorità dell’essere, il primato di Dio sulla fretta e la nevrosi del fare.


L’apostolato: quali segni indicano che l’apostolato tuo/della comunità è il frutto maturo della fede, della gratitudine a Dio? Con quali segnali concreti esprime il dono personale di sé? Cosa ti dice che richiama ai destinatari il primato di Dio? E quali segni concreti indicano che l’apostolato non è così?


[n. 11] Un ruolo importante per far crescere una coscienza più profonda della VR e della missionarietà internazionale e inculturata è quello svolto dal Superiore locale.

ð Egli ha un ruolo centrale nella trasmissione degli Orientamenti del Capitolo per sostenere il compito del Superiore generale col proprio Consiglio.

Inoltre egli ha il compito di:

ð ‘Custodire’ il senso della VR SF dei suoi religiosi e della comunità tutta;

ð ‘Servire’ i fratelli soprattutto con l’ascolto. In Vita fraterna in comunità si dice che il superiore svolge il servizio di maturazione delle singole persone, il servizio della vita fraterna e rinnova lo slancio missionario. Grazie al servizio del Superiore la comunità cresce nella missionarietà vivendo il valore dell’amore reciproco (Gv 13,35).

ð ‘Suscitare’ un consenso sempre più ampio attorno alle dinamiche della VRSF

ð Per fare ciò si avvale degli strumenti codificati nella nostra tradizione, di cui il Capitolo ribadisce l’importanza, come la preghiera comunitaria, la Riunione di Famiglia, la S. Messa carismatizzante e il dialogo personale con ogni religioso.


Il Superiore: come esercita il suo servizio di ascolto? I religiosi valorizzano e si dispongono a questo servizio? Come suscita il consenso circa i valori della VRSF? I religiosi collaborano a questa azione? Come propone e dinamizza gli strumenti codificati nella tradizione SF (preghiera comunitaria, RF, MC?) Come i religiosi rispondono a queste proposte? Come utilizza il dialogo personale aperto e franco per costruire vera fraternità? Come i religiosi dialogano in comunità e fuori?

CONCLUSIONE

Carissimi confratelli, l’orizzonte e le mete indicateci dal Documento Finale del XVIII Capitolo ci incoraggiano ad intraprendere con solerzia un cammino di conversione che sarà foriero di felice accrescimento della coscienza missionaria per la vita dei singoli, delle comunità e dell’intera Congregazione. Per questo imploriamo fiduciosamente con spirito filiale la nostra amata Fondatrice perché ci sostenga e vegli sul nostro cammino.

p. Michelangelo Moioli

Superiore generale

 


21 gennaio 2008